L’altare dedicato all’apostolo Paolo è situato sulla destra.
La figurazione realizza un sogno che don Alberione coltivava da circa trenta anni. L’Apostolo viene presentato nella tela come il conquistatore trionfante, maestoso, il più grande araldo di Cristo di tutti i tempi.
Ai lati del tabernacolo la scritta: «Mihi corona justitiae – Quam reddet Dominus» («A me la corona di giustizia – che mi darà il Signore», 2 Timoteo 4,8).
Il paliotto riproduce scene della vita di san Paolo. Si tratta di un’opera vigorosamente drammatica, realizzata da Francesco Nagni, nella sua piena maturità artistica.
La composizione si divide in tre parti:
- al centro l’arrivo a Roma di Paolo nei primi giorni della primavera del 61. L’apostolo, prigioniero, affiancato da un legionario romano e accolto festosamente da un cristiano, avanza con serenità maestosa: è la forza inarrestabile della verità, che il vecchio mondo, la potenza di Roma, l’oppressione della forza materiale possono incatenare ma non arrestare. Il cristiano che l’accoglie giubilante esprime l’ansia accorata degli uomini che con profondo ardore attendono la rivelazione della verità.
- le parti laterali – il naufragio a Malta e la decapitazione – sono affollate di personaggi, con un tono vicino al decorativo, per dare risalto alla parte centrale e unità di composizione all’insieme. La scena del martirio è la conclusione del dramma: il soldato ha perso ogni possibilità di azione ulteriore, e deve rinchiudersi in se stesso rimettendo la spada nel fodero. Un angelo incorona l’Apostolo. Appare in dialogo con un secondo angelo che fa da cornice alle fontane sgorgate miracolosamente. Non sono dolenti o sorpresi: sanno che l’Apostolo non è stato vinto, che la verità non è stata spezzata. Un terzo angelo sullo sfondo esplode in un ampio gesto di gloria e di trionfo. Il dramma è molto bene sottolineato dalle figure potentemente incise e ritmicamente scandite, oltre che dal gioco violento dei chiaroscuri.
Sul paliotto dell’altare, le scritte: «Ter naufragium feci – Oportet me et Romam venire – et Romae testificari!» (Ho fatto tre volte naufragio – bisogna che io venga a Roma e a Roma dia testimonianza) condensano l’epilogo della missione dell’apostolo.
La tela sopra l’altare è opera di Aronne del Vecchio e rappresenta l’apostolo Paolo sullo sfondo di una fascia luminosa, con in mano il libro delle sue “Lettere”.
Sotto la pala dell’altare, vi è la scritta: Sanctus Paulus Apostolus – Vas electionis – Magister gentium – Martyr – Editionum protector.
«Vas electionis» (vaso di elezione, strumento eletto). È il titolo che il Signore riserva a Paolo: «Egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele» (Atti 9,15). E don Alberione commenta: «Vaso eletto, cioè scelto, ove lo Spirito Santo raccolse versando tutti i migliori doni: una fede incrollabile, una speranza fermissima, una carità ardentissima, una scienza altissima».
San Paolo si presenta come il Dottore delle Genti. La sua universalità va considerata sia riguardo ai popoli, sia riguardo al sapere. Egli è il «Predicatore della verità in tutto il mondo», del Vangelo è «stato costituito araldo, apostolo, maestro» (2 Timoteo 1,11). Fedele interprete del Vangelo, lo presenta a tutta l’umanità e lo applica a tutte le singole necessità individuali, familiari e sociali.
Su tutto, egli, Maestro e Dottore, ha saputo darci il suo grande insegnamento. La sua sintesi teologica è elaborata come nessun altro documento del Nuovo Testamento. Di essa si sono nutriti tutti i grandi pensatori cristiani; non c’è trattato di teologia che non vi cerchi in parte le fondamenta o non si richiami ad essa; ad essa fa capo tutto l’umanesimo cristiano.
Per questo motivo, fanno cornice alla figura dominante dell’Apostolo le figure di dieci grandi luminari della dottrina della Chiesa (sei nella tela e quattro nelle lesene) che vogliono indicare altrettante discipline del sapere cristiano ed umano. Il maestro e modello dell’apostolato delle edizioni con gli insigni imitatori che lo seguirono.
Nella tela vediamo (da sinistra a destra): Sant’Agostino (teologia dogmatica), San Tommaso d’Aquino (filosofia), San Bonaventura (teologia mistica), Sant’Alfonso (teologia morale), San Gregorio Magno (teologia pastorale) e Leone XIII (sociologia; il grande Pontefice, l’unico non santo, è in ginocchio).
Il pittore si ispira, come l’architetto, al rinascimento, pur nell’attenzione ad esperienze moderne.
Le figure dei santi sono dei personaggi reali, ottenuti con rigoroso rispetto all’iconografia tradizionale e con un attento studio di individuazione. Si può osservare per esempio la calma potente che spira dalla pensosa figura di S. Tommaso, ritratto nella fisionomia tipica del meridionale; la serenità accogliente di S. Bonaventura; la forza contenuta e un po’ assente di Gregorio Magno, intento ad ascoltare la voce di Dio e quasi triste di doversi pure occupare del governo degli uomini.
Sant’Agostino (Tagaste, Numidia, 354 – Hippo Regius, 430), Vescovo e Dottore della Chiesa. Ebbe una giovinezza dissipata. A 29 anni, durante un viaggio in Italia, accogliendo l’invito «Prendi e leggi», trova nelle parole dell’apostolo Paolo la sferzata decisiva: «non vi fate travolgere dalla carne e dalla sua concupiscenza». Si converte, studia a fondo l’Apostolo, e da lui muove per la costruzione del suo sapere teologico. Divenuto sacerdote e poi vescovo di Ippona, in Africa, trova nell’adesione alla verità cristiana e nella multiforme attività pastorale la pace del cuore alla quale anelava il suo spirito: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha pace, finché non riposa in te». Nelle sue Confessioni egli parla di sé con sincerità e semplicità, convertendo in confessione, cioè in lode a Dio, tutto ciò che gli appartiene. Uomo e maestro, teologo e filosofo, moralista e apologista, mistico, santo e polemista sono le caratteristiche di Agostino. A lui si deve la prima sintesi tra Filosofia e Fede, che dimostra come sia possibile un perfetto accordo tra le realtà del mondo e il cielo. Un monito e una speranza sempre attuali per l’umanità.
San Tommaso d’Aquino (Aquino, Frosinone, 1225 – Fossanova, Latina, 1274), Sacerdote e Dottore della Chiesa. Domenicano (1244), maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, affidò a molti scritti e specialmente alla celebre “Summa” la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. “Dottore angelico” (come venne denominato dopo il XV secolo), ha esercitato un influsso determinante sul pensiero filosofico e teologico dei secoli seguenti. Particolarmente attuali sono gli “Opuscoli teologico-pastorali” e gli “Opuscoli spirituali”, sempre ristampati. Il suo non era un astratto intellettualismo, fine a se stesso: l’intelligenza era strettamente unita all’amore. Il suo motto, “contemplata aliis tradere”, partecipare agli altri i frutti della propria riflessione, si tradusse in una mole di libri che hanno del prodigioso, se si tiene presente che morì a soli 48 anni. Quando Giovanni XXII decise di proclamarlo santo, nel 1323, a quanti obiettavano che Tommaso non aveva compiuto nessun miracolo, il Papa rispose: «Quante proposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece».
San Bonaventura (Bagnoregio, Viterbo, 1218 – Lione, Francia, 1274), Vescovo e Dottore della Chiesa. Discepolo di san Francesco, maestro di teologia a Parigi e poi Generale dei frati minori, vescovo e cardinale, guidò con saggezza il suo ordine (1257-1273), tanto da essere chiamato “secondo fondatore e padre”. Mistico e pensatore, diede forma di sintesi sapienziale alla teologia scolastica. Egli considerò nell’uomo, oltre alla ragione e alla volontà, la sentimentalità. L’espressione più matura di questo umanesimo teologico è nell’Itinerario della mente a Dio. Molte cose che oggi troviamo nei libri di mistica furono illustrati negli scritti di questo Dottore. «Non basta – egli scrive – la lettura senza l’unzione; non basta la speculazione senza la devozione; non basta l’indagine senza la meraviglia; non basta la circospezione senza l’esultanza; l’industria senza la pietà; la scienza senza la carità; l’intelligenza senza l’umiltà; lo studio senza la grazia».
Sant’Alfonso Maria De Liguori (Marianella, Napoli, 1696 – Nocera dei Pagani, Salerno, 1787), Vescovo e Dottore della Chiesa. Brillante avvocato del foro di Napoli (si era laureato a soli sedici anni, con quattro anni di anticipo rispetto al corso di studi del tempo), lasciò la toga per la vita ecclesiastica. Vescovo di sant’Agata dei Goti e fondatore dei Redentoristi (1732), dedicò tutte le sue energie e doti intellettuali alle missioni al popolo. La salvezza delle anime era la sua preoccupazione dominante. Maestro in scienze morali, organizza i suoi trattati alla luce dell’apostolo Paolo. Scrisse testi ascetici di vasta risonanza. Pubblicò centoundici opere tra grandi e piccole. Alcune di esse hanno raggiunto centinaia di edizioni in gran parte delle lingue del mondo. Quelle di ascetica e di spiritualità si ristampano ancora oggi. Nel 1748 stampa la sua Theologia Moralis, l’opera per la quale il papa Leone XIII lo definì «il più insigne e il più mite dei moralisti». Apostolo del culto all’Eucaristia e devoto della Vergine, guidò i fedeli alla meditazione dei “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso), alla preghiera e alla vita sacramentale.
San Gregorio Magno (Roma, 540 – 12 marzo 604), Papa e Dottore della Chiesa. Già prefetto di Roma, divenne monaco e abate del monastero di sant’Andrea sul Celio. Viene chiamato al supremo pontificato dall’entusiasmo del popolo e dalla insistenza del clero e del Senato di Roma. Eletto Papa, riceve l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590. La sua attività, in quattordici anni di pontificato, nonostante la sua salute cagionevole, ha dell’incredibile. Si impegnò attivamente nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nella tutela delle popolazioni angariate dai barbari, nell’azione missionaria. Ovunque ha lasciato un’impronta. In campo liturgico promuove il canto “gregoriano” ed elabora il Sacramentario che ancora costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano; in ambito biblico importanti sono le sue Omelie su Ezechiele e sul Vangelo; nella morale e nella spiritualità sono famosi i Moralia e il Liber regulae pastoralis, stimolante ancora oggi. San Gregorio Magno è considerato Padrino della Famiglia Paolina. Difatti il 12 marzo 1927 (nel calendario liturgico di allora la memoria di questo Papa ricorreva in questo giorno) veniva firmato il decreto di erezione e di approvazione (a livello diocesano) della Società San Paolo. Don Alberione ritenne importante quella coincidenza e il suo ricordo, considerando un dovere pregare e invocare la protezione del santo Papa sul carattere pastorale proprio dell’apostolato paolino.
Leone XIII, Papa (Carpineto, presso Anagni, 1810 – Roma, 1903). Di famiglia aristocratica, dottore in teologia, dopo gli studi nell’Accademia diplomatica pontificia, viene ordinato sacerdote il 31 dicembre 1837. Delegato apostolico, arcivescovo, nunzio pontificio, cardinale, Pontefice: sono le tappe della sua vita, nella quale deve affrontare e interpretare i grandi cambiamenti sociali del tempo. Il 15 maggio 1891 pubblica la Rerum novarum: con questa enciclica il Pontefice, richiamandosi all’insegnamento paolino, prende posizione di fronte ai problemi del mondo operaio e invita i cattolici a interessarsi alla questione sociale: richiama gli uomini politici al rispetto della giustizia e delle leggi morali; esorta le classi operaie a non lasciarsi coinvolgere e travolgere da ideologie rivoluzionarie e a non irrigidirsi nelle lotte di classe. Auspica la collaborazione tra tutte le parti: si ha il progresso solo camminando insieme. L’enciclica ha un successo enorme e viene da molti definita la “Magna Carta del Lavoro”. Don Alberione ebbe grande stima dei suoi insegnamenti. In particolare, l’enciclica Tametsi futura, con al centro Gesù Cristo Via, Verità e Vita, risultò determinante per la spiritualità paolina. Si deve anche ricordare che l’idea dei vari Istituti impegnati a “fare qualcosa per gli uomini del nuovo secolo” nasce durante l’Adorazione eucaristica istituita proprio da Leone XIII.
Nei bassorilievi delle due lesene, in posizione isolata ma privilegiata, abbiamo:
- a sinistra: San Girolamo (Hieronimus, in latino) e Sant’Alberto Magno,
- a destra: San Bernardo di Chiaravalle e San Francesco di Sales.
San Girolamo (Stridone, tra Dalmazia e Pannonia, intorno al 347 – Betlemme, 420), Sacerdote e Dottore della Chiesa. Fece studi enciclopedici, ma la Bibbia fu la sua vera passione. Nel 382 Papa Damaso I lo incarica di rivedere il testo della versione latina della Scrittura, detta Itala, molto in uso, realizzata sulla versione greca detta dei Settanta. Per avvicinare meglio l’uomo alla Parola di Dio va alle fonti. Traduce dall’originale ebraico i testi protocanonici dell’Antico Testamento, e verifica anche sul terreno, come dirà: «Mi sono studiato di percorrere questa provincia (la Giudea) in compagnia di dotti ebrei». Rivede poi il testo dei Vangeli sui manoscritti greci più antichi. È il dottore massimo delle Sacre Scritture. A lui si deve la Vulgata in latino della Bibbia, a cui aggiunse commenti, ancora oggi importanti come quelli sui libri dei Profeti. Scrisse, inoltre, testi storici, dottrinali, educativi. E, come san Paolo, invita a leggere le Scritture. La cultura e i cristiani di tutti i tempi devono molto a san Girolamo. E la Chiesa lo venera come uno dei suoi padri più grandi.
Sant’Alberto Magno (Lauingen, Baviera, intorno al 1206 – Colonia, 1280), Vescovo e Dottore della Chiesa. Entrò giovanissimo dai Domenicani. Di fronte alle difficoltà incontrate nello studio della Teologia, fu tentato di andar via. Lo rassicura la Madonna: «Attendi allo studio della sapienza e affinché non ti avvenga di vacillare nella fede, sul declinare della vita ogni arte di sillogizzare ti sarà tolta». Alberto divenne sapiente in ogni ramo della cultura. Veniva chiamato “Dottore universale”, e ricevette, ancora in vita, il titolo di “Grande”. Specializzato nelle scienze umane, afferma che queste vanno sottomesse alla fede, perché tutta la scienza umana è “ancella” della scienza divina. Insegnò con grande prestigio a Parigi e nei vari Studi Domenicani di Germania, fino ad età avanzata. Ma un giorno, come Maria aveva predetto, la sua memoria si spense. Anelò allora solo al cielo.
San Bernardo di Chiaravalle (Digione, Francia, 1090 – Chiaravalle, 20 agosto 1153), Abate e Dottore della Chiesa. Bernardo, dopo Roberto, Alberico e Stefano, fu padre dell’Ordine Cistercense (nome derivato dal monastero di Cîteaux, Cistercium in latino). Preghiera, digiuno, e tanto lavoro scandiscono le ore della sua giornata. La fedeltà al Papa e il bene della Chiesa lo spingono tuttavia a lasciare spesso la quiete monastica per dedicarsi alle più gravi questioni politico-religiose del suo tempo. Maestro, guida spirituale ed educatore di generazioni di santi, lascia nei suoi sermoni di commento alla Bibbia e alla liturgia un eccezionale documento di teologia monastica tendente, più che alla scienza, all’esperienza del mistero. Ispirò anche un devoto affetto all’umanità di Cristo e alla Vergine Madre. Il “dies natalis” di Bernardo (20 agosto) fu scelto da don Alberione per iniziare la Famiglia Paolina, con questa motivazione: «Perché san Bernardo, sull’esempio di san Paolo, ha saputo fondere magistralmente la vita attiva con la vita contemplativa. Profondissimo nella sua pietà, tuttavia si poteva dire che il mondo ecclesiastico e il mondo politico del suo secolo ruotavano intorno a lui; è stato il centro dell’attività di quel secolo. Esempio splendido di vivere nella massima unione con Gesù e nella massima attività esterna, come l’Apostolo Paolo».
San Francesco di Sales (Thorens, Savoia, 1567 – Lione, 1622), Vescovo e Dottore della Chiesa. Dopo la laurea in giurisprudenza conseguita all’università di Padova, a 26 anni, deludendo le aspettative paterne diviene sacerdote (e vescovo a 32). Inviato come predicatore tra i calvinisti ginevrini, visti gli scarsi risultati, inizia a pubblicare fogli volanti, che egli stesso fa scivolare sotto gli usci delle case o affigge ai muri. Per questa attività ebbe il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione. È il teologo dell’ascetica. “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell’amore di Dio” sono le sue opere più lette. I suoi libri continuano a essere stampati e ristampati, perché la sua pietà insegna il modo di vivere cristianamente nel mondo, e di santificarsi in mezzo a tutte le attività. I grandi principi di questa ascetica così umana e così equilibrata li trova nelle pagine delle Lettere Paoline: la fonte, lo sviluppo, la perfezione è nella carità.
CHI SONO I DOTTORI DELLA CHIESA
Con il titolo di Dottore, conferito a un esiguo numero di Santi (finora solo 37), la Chiesa cattolica designa determinati scrittori ecclesiastici che, grazie all’eccezionale conoscenza teologica, profusa in maniera originale e sempre attuale nei loro scritti, hanno contribuito in maniera determinante all’approfondimento e alla diffusione della dottrina e dell’ortodossia cattolica. Ad alcuni di essi viene anche riconosciuto, in aggiunta, un titolo specifico.
La santità è elemento costitutivo. I santi infatti, avendo raggiunto la perfezione della carità, sono in grado di conoscere, penetrare e vivere in maniera più profonda i misteri divini per il bene della Chiesa, aiutandola nella sua missione di salvezza.
* Nella penultima colonna il titolo specifico; nell’ultima l’anno di proclamazione a Dottore della Chiesa.
TUTTO PER COMUNICARE IL CRISTO
Don Alberione, con una grande audacia, ha voluto che i membri della “Famiglia Paolina” da lui fondata, fossero “San Paolo vivo oggi”.
Il suo incontro con Paolo non fu qualcosa d’improvvisato. In un testo carismatico, lui stesso narra che “l’ammirazione e la divozione cominciarono specialmente dallo studio e dalla meditazione della Lettera ai Romani”. Paolo “gli parve veramente l’Apostolo: dunque ogni apostolo e ogni apostolato potevano prendere da lui” (Abundantes Divitiae, 64).
Ripeteva con forza: “Mancarono i popoli a Paolo ma non Paolo ai popoli”. Anche l’assunzione dei mezzi più celeri ed efficaci al servizio del Vangelo si ispirava a Paolo predicatore, scrittore e grande camminatore per le vie del mondo. Abitualmente asciutto, quando don Alberione toccava quest’argomento si entusiasmava, diventava enfatico per animare i suoi a guardare lontano come l’Apostolo. “Se San Paolo vivesse oggi, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio: lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d’ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cinema, radio, televisione. Non sarebbe, la sua dottrina, fredda ed astratta…” (Anima e corpo per il Vangelo, 1953).
Più tardi don Alberione dirà: “la vostra parrocchia è il mondo”, ma molti suoi discepoli lo percepivano già allora e si preparavano per comunicare ad essa il messaggio della salvezza.
Ben presto la preoccupazione di don Alberione fu di elaborare una “spiritualità paolina”, che da Paolo prende il colore, i contenuti e il dinamismo, spiritualità che è l’anima dell’apostolato. Tutto viene riassunto nel “Cristo vive in me” (Galati 2,20). Diceva: “perché se uno è pieno di Cristo, come Paolo, lo dà con o senza mezzi; ma se non ha la vita di Cristo, non c’è mezzo che valga”.
In fondo, don Alberione, prendendo Paolo come ispiratore della sua opera, voleva dare un esempio del missionario “santo”, appassionato di Cristo, adulto in Cristo, sempre nuovo della novità del Cristo; che vive proteso in avanti; un uomo che non ha tempo per compiacersi di ciò che si è fatto, ma che ha solo tempo per ricordare il molto che ancora resta da fare. Questo, secondo don Alberione, “se vogliamo essere saggi e apostoli, formati sul cuore di Paolo” e, come lui, vivere protesi in avanti (cfr Filippesi 3,13).